Il castello del “monacieddu”
Non un semplice monumento, ma rappresenta la vera identità del paese
Un monumento grandissimo, importante, che deve per forza accendere forti emozioni”. Per gli abitanti di Moliterno, il castello del paese non è un semplice edificio. È identità.
Sorta nell’epoca longobarda come avamposto di controllo per le scorrerie dei Saraceni dopo la distruzione della città romana di Grumentum, la fortificazione si trova in un punto di dominio sulla Val
D’Agri, a 880 metri sul livello del mare, con vista eccellente su Lagonegrese e sui paesi della Campania.
La costruzione parte dalla torre, attorno a cui si sviluppano in poco tempo case e mura di cinta, fino
a plasmare il borgo, così come lo conosciamo oggi.
I primi documenti ufficiali risalgono al 1269, anno in cui Carlo D’Angiò dona il feudo moliternese al
cavaliere Oddone I di Brayda, al suo seguito alla conquista del regno di Sicilia, che assume il titolo di barone della zona.
La struttura diventa poi palazzo nobiliare e si abbellisce di portali, finestre, affacci sulla valle, si dota di stalla e prigione. Nelle sue stanze ospita un’Accademia dove fioriscono arte e sapere.
“Un centro nevralgico della cultura meridionale – spiega Antonio Rubino, sindaco di Moliterno – E nell’800 è probabile che sia stato frequentato da diversi intellettuali, come lo scrittore Petruccelli della Gattina, il pittore Michele Tedesco, il fondatore della Nunziatella, Parisi”. Segue un lento e inesorabile declino. I Cassini, ultimi proprietari del castello, provano a rimetterci un collegio, ma l’esperienza fallisce e agli inizi del ‘900 l’intero complesso viene abbandonato.
A quel punto l’unica protezione diventa una leggenda popolare, raccontata per dissuadere i giovani dall’intrufolarsi nella costruzione ormai diroccata. In dialetto “U moliternese, ‘u munacieddu: “Uno spirito
burlone – racconta Giuseppe Cassino, esperto di storia locale – che prendeva in giro le persone, più che nuocergli. Qualcuno ha giurato di averlo visto affacciato alle finestre, altri dicono di averlo toccato, altri ancora lo descrivono come un munacieddu a sette capozzole”.
Questa storia di fantasia regge fino agli anni ’60, quando il Comune acquista la struttura per la cifra simbolica di mille lire.
Seguono diversi interventi di consolidamento e restauro per restituire ai moliternesi il loro simbolo e bene più importante. Oggi, sebbene alcune aree siano ancora inagibili, le visite sono consentite previa prenotazione.
“A mio modesto parere – aggiunge Cassino la storia del castello si lega a quella del nostro canestrato IGP. Non dimentichiamo che la famiglia dei Brayda proveniva dalle zone di Asti, Alba, Bra, conosciute come produttrici di formaggi eccellenti.
Giunti a Moliterno, avranno di sicuro avuto al seguito casari e agricoltori, che qui hanno trovato pecore e capre, a differenza delle mucche dei loro territori. È possibile che la produzione di pecorino sia iniziata proprio in questo modo”.