Il punto di vista di Nino Grasso – L’asse Bardi-Pittella fa perdere voti al centrodestra e Marrese guadagna sei punti in pochi giorni

Il punto di vista di Nino Grasso
Bardi e Pittella: secondo il sondaggio Winpoll la loro intesa rischia di essere un boomerang per il centrodestra lucano, e Marrese ha già guadagnato sei punti percentuali in un colpo solo.
Secondo il sondaggio Winpoll l’asse Bardi-Pittella rischia di essere un boomerang per il centrodestra lucano, e Marrese ha già guadagnato sei punti percentuali in un colpo solo.

di Nino Grasso

L’asse Bardi-Pittella rischia di essere un boomerang per il centrodestra lucano. Lo testimonia l’ultimo sondaggio commissionato a livello nazionale, che ha trovato ampio spazio, ieri, anche sulle pagine della “Nuova”. Dopo pochissimi giorni di campagna elettorale, tra un rito sacro e l’altro del triduo pasquale, il governatore uscente ha visto più che dimezzato il vantaggio inizialmente attribuitogli da una precedente rilevazione.

Infatti, il suo principale competitor, il presidente della Provincia di Matera, Piero Marrese, del Partito Democratico, ha guadagnato sei punti percentuali in un colpo solo.

Tantissimi, se si considera il ritardo con il quale è partita la corsa del candidato presidente di Pd, M5s, Avs e Basilicata Casa Comune, dopo la settimana di «passione» – è il caso di dire – che ha preceduto la presentazione delle liste.

Il passo di lato compiuto da Angelo Chiorazzo – che ha rinunciato, non senza un intimo rammarico, a correre da solo per la presidenza della Regione, schierandosi con la lista di “Bcc” al fianco del candidato unitario di centrosinistra e pentastellati – non solo ha evitato che il centrodestra vincesse la partita a tavolino. Ma ha demolito la granitica certezza dell’ammucchiata ritrovatasi sotto le insegne del generale Bardi di avere già la vittoria in tasca senza nemmeno sprecare una goccia di sudore.

Aver messo in piedi una coalizione di centrodestra tanto eterogenea quanto politicamente foriera di guerre intestine future, con personaggi provenienti da percorsi ideali inconciliabili, come quelli di Italia Viva e Azione, più che un segnale di forza, va letto piuttosto come un sintomo di profonda debolezza.

E l’assordante silenzio dei vincitori di ieri (vero Gianni Rosa?) rispetto alle pretese di «quelli di prima» (capeggiati dall’ex governatore di centrosinistra Marcello Pittella) di dettare la linea politica e di porsi come i nuovi goleador dell’eventuale, futura compagine governativa di centrodestra, la dice lunga sul timore di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia di veder sfumare la vittoria sul filo di lana.

Non si spiegherebbe altrimenti – ripetiamo – la silente accettazione, da parte dei vincitori delle passate competizioni regionali, delle enfatiche dichiarazioni fatte dagli alleati dell’ultima ora che hanno un che di umiliante per i “padroni” del 2019 trasformati nei “garzoni” del 2024, dopo che il maggiordomo di casa (in questo caso con le spalline da generale) s’è sperticato in quattro per accogliere ospiti con la puzza sotto il naso. Gli stessi che appena messo piede nell’appartamento di via Verrastro hanno subito trovato da ridire sulla disposizione dei mobili e sugli odori provenienti dalla cucina.

Fuor di metafora, l’accordo Bardi-Pittella, sancito da quella foto dei due in maniche di camicia seduti allo stesso tavolo con uno dei leader nazionali di Azione, anch’egli senza giacca, come si è solito fare tra amici di vecchia data, presenta aspetti poco chiari che meritano di essere indagati.

E che probabilmente saranno molto più leggibili quando scorreremo le liste dei candidati alle prossime elezioni europee. Perché ove mai dovessimo scoprire che, per evitare la tagliola del quorum, alcuni esponenti romani di Azione troveranno posto nelle file di Forza Italia, difficilmente si potrà continuare a sostenere la tesi che abbiamo più volte sentito ripetere in questi giorni. E cioè che Carlo Calenda e Ettore Rosato (nelle rispettive vesti di segretario e vice-segretario nazionale di Azione) e Marcello Pittella e Donato Pessolano (in qualità di massimi referenti lucani del medesimo partito) sono stati costretti all’ultimo minuto a stipulare un «accordo di programma» con il governatore lucano di Forza Italia perché messi alla porta da Pd e Movimento 5 Stelle.

Non prendiamoci in giro. L’intesa Bardi-Pittella non è stata il frutto di un improvviso innamoramento dell’ultimo momento.

Peraltro dopo cinque anni vissuti dai due all’insegna di reciproci sgarbi. Probabilmente, l’intesa tra il presidente in carica e quello emerito affonda le radici in un “inciucio” romano, risalente allo scorso anno, dopo le ferite aperte dalle politiche del 2022. E da quello che si intuisce essa ha portato in dote alla destra lucana molto di più del solo peso elettorale di Azione, tutto da verificare. Anzi forte è il sospetto che vada ricercato in questo “inciucio” il sistematico boicottaggio che per mesi il partito di Calenda, Rosato, Pittella e Pessolano ha sviluppato all’interno della coalizione lucana di centrosinistra, nel tentativo, poi riuscito, anche grazie alla stupida complicità di altri, di azzoppare la corsa a presidente di Angelo Chiorazzo. Il candidato di Basilicata Casa Comune.

L’unico che, per unanime ammissione, avrebbe garantito la vittoria a occhi chiusi alle forze di opposizione, oggi costrette invece a correre in affanno, pur di recuperare il terreno perduto, dopo la discesa in campo del presidente della Provincia di Matera, Piero Marrese. Un amministratore eletto a furor di popolo nella sua Montalbano. Conosciuto in tutti e 31 i Comuni del Materano. Ma poco noto nei 100 paesi del Potentino dove, non foss’altro che per ragioni demografiche, l’esito finale delle elezioni regionali è fortemente legato agli umori degli elettori della provincia maggiore.

A proposito, poi, del cosiddetto «accordo di programma» sbandierato da Bardi e Pittella – di cui pure ci piacerebbe leggere il testo integrale, al momento non distribuito alla stampa – facciamo presente che nessuno dei due ha fatto marcia indietro rispetto alle posizioni a suo tempo assunte sull’Autonomia differenziata.

Con il governatore in carica a favore. E il suo predecessore contro. Che è quanto dire. Perché contrariamente a ciò che essi vorrebbero far credere, l’Autonomia differenziata non è un rischio «ipotetico». Una medaglietta senza valore – per dirla con Pittella – di cui si potrà fregiare il ministro Calderoli della Lega, dal momento che in assenza dei “Lep” (i livello essenziali delle prestazioni) la riforma resterebbe un pezzo di carta. Non è così.

E a dirlo è stata nei giorni scorsi una fonte autorevole, al di sopra di ogni sospetto: la Fondazione Gimbe. La quale, per bocca del presidente, Nino Cartabellotta, ha spiegato che la legge Calderoli già approvata al Senato, e ora al vaglio della Camera, nell’assegnare maggiori autonomie alle Regioni del Centro-Nord, «precede il recupero dei divari». Come dire: la riforma partirà anche senza la preventiva definizione e il relativo finanziamento dei Lep.

Il che, ove mai dovesse veramente accadere, sarebbe una catastrofe per il Sud. In specie nel settore della Sanità.

Per un motivo semplicissimo: i medici che operano negli ospedali meridionali saranno indotti a trasferirsi al Nord, per usufruire dei lauti contratti integrativi che le regioni più ricche potranno consentirsi di stipulare, con aumenti di stipendio anche con due o tremila euro al mese.

Ecco perché non è di poco conto avere in Basilicata un presidente che risponda ai propri concittadini, più che ai poteri romani. Un presidente che possa rafforzare il fronte del Sud in Conferenza Stato Regione. Se mai promuovendo con altri quattro colleghi, e i rispettivi Consigli regionali, il referendum abrogativo di quella che il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, ha già definito la «legge truffa» sull’Autonomia differenziata. E scusate se è poco.

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