POTENZA – Undici persone in carcere, tre ai domiciliari, tre sottoposte all’obbligo di firma e sequestro preventivo per le quote societarie e il complesso aziendale di due società. Questo il risultato, a livello di misure cautelari, del blitz coordinato dalla Dda di Potenza contro il clan Riviezzi, con base logistica a Pignola ma operativo anche e soprattutto nel capoluogo di regione. L’operazione “Iceberg”, affidata agli uomini della Squadra Mobile, della Guardia di Finanza e per un determinato filone d’inchiesta ai carabinieri del Ros ha portato alla luce una serie di attività illecite portate avanti dallo storico sodalizio.

In manette è finito Saverio Riviezzi, 57 anni, considerato il capo storico del clan, insieme al figlio Vito, 37 anni. Tra le società sequestrate c’è anche quella che gestisce il bar del tribunale di Potenza: il sodalizio era quindi riuscito ad infiltrarsi, tramite prestanome, nel luogo che dovrebbe rappresentare il simbolo della legalità. Ad un uomo considerato vicino al clan viene contestata anche la condotta estorsiva ai danni di un altro imprenditore interessato alla gestione del bar, avvenuta nel 2018, per farlo recedere dal ricorso al Tar contro l’aggiudicazione del servizio. Ma il clan Riviezzi era impegnato in diverse attività illecite, a cominciare dalle intimidazioni ed estorsioni ai danni di imprenditori e commercianti. Accertata anche la capacità del sodalizio di condizionare le attività dell’amministrazione comunale di Pignola: un filone d’inchiesta che vede indagato anche l’ex sindaco Ignazio Petrone per fatti però risalenti al 2010 e quindi non passibili di richiesta di misura cautelare proprio perchè troppo datati nel tempo. Ci sono poi le rapine, come quella messa a segno nell’ufficio postale di via Messina a Potenza che nel giugno 2018 fruttò ben 235mila euro e quella tentata nell’ufficio di via Grippo. Anche tramite le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, accertato il coinvolgimento di Saverio Riviezzi e Angelo Quaratino nell’omicidio di Giancarlo Tetta, uno dei tanti riconducibili alla sanguinosa faida del Vulture-Melfese: i due avrebbero fornito agli assassini, affiliati al clan Cassotta, la Fiat Croma rubata qualche giorno prima del delitto a Potenza e poi utilizzata il 2 aprile 2008 per l’agguato